Per un chilogrammo di farina bianca 00 utilizzare 30 tuorli d’uovo.

Impastare i due ingredienti con forza fino ad ottenere un impasto uniforme ed omogeneo.

Tirare la pasta in sfoglie sottili e tagliarle poi a tajarin finissimi con l’aiuto di un coltello.

Per il ragù: preparare un trito con le verdure (sedano, carota, cipolla, aglio) e soffriggerlo in olio e burro, aggiungere la carne macinata, rigorosamente di Bue di Carrù, e a fine rosolatura della carne , aggiungere il doppio concentrato di pomodoro e due bicchieri di Nebbiolo .

Far sfumare il vino completamente, salare, pepare, aggiungere acqua, l’alloro e il rosmarino e portare a cottura in tre ore circa.

Cuocere i tajarin velocemente in acqua salata bollente, scolare e condire con il ragù precedentemente ottenuto.

Dove gustare la ricetta di Fabrizio Peirotti

Fabrizio Peirotti

Fabrizio Peirotti

Sul suo profilo Facebook dichiara il suo amore al mestiere di cuoco con un aforisma di Confucio “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”. Fabrizio Peirotti, patron e ai fornelli del Ristorante Moderno, non nasconde certo la sua passione per quel ruolo che gli permette di esprimere al meglio tecnica e creatività applicate alla trasformazione del cibo. Il suo percorso formativo inizia alla fine degli anni ’80 come allievo dell’Istituto Alberghiero di Mondovì. Affiancherà poi lo chef Vittorio Bertolino, per continuare in seguito con diverse esperienze vissute nelle grandi capitali europee e non solo. Non meno importanti sono state quelle avute in Langa, ad esempio da “Felicin” a Monforte d’Alba o quelle nei Grand Hotel come presso la famiglia Bertolino a Lurisia Terme.
Dopo quasi trent’anni di lavoro nel settore, dalla primavera 2018 Peirotti ha scelto di cogliere l’ennesima sfida professionale con la gestione dello storico locale carrucese “Ristorante Moderno”.

Il commento

Profumati, gialli di uova, giustamente croccanti. Un rito che si ripete. Impastare è gesto solenne, simbolo di forza, energia, vigore. “Avere le mani in pasta”, un modo di dire nato forse al maschile. Mattarelli che volteggiano, lunghi e affusolati, una sorta di scettro. Una manualità che si fa arte: non c’è bisogno di pesare gli ingredienti, basta il pugno della mano e l’esperienza. Il cuoco taglia al coltello da una sfoglia sottile con movimenti semplici e arcaici, ripetuti all’infinito, appresi da mamme e nonne. In un piatto di tajarin è facile leggere la Langa. Geometrie di colline a perdita d’occhio, vita che scorre a misura d’uomo, donne che si sdoppiano in mille lavori nei vigneti e ai fornelli. Una ricetta nata povera di uova, una regola di misura perché destinate allo scambio per avere caffè, zucchero e sale, oggi sontuose di 30 tuorli. Una versione di scuola borghese a vantaggio del sapore. Li accompagnano un ragù di Bue di Carrù, una delle carni piemontesi più apprezzate e conosciute, un’icona nel bollito misto alla piemontese. Di colore rosso vivo, intenso, la caratterizza una marezzatura con qualche filamento di grasso nei muscoli, per questo saporita e compatta, adatta a lunghe cotture. Profumata con trito di verdure e vino Nebbiolo, lo stesso con cui servire i tajarin, offre autentica poesia gastronomica.

Vino in abbinamento

Barbera d’Alba Superiore