Si parte dalla tradizione della pasta fatta a mano. Servono farina di castagne e farina barbaria, semola, uova, olio extravergine di oliva.

Impastare le farine con uova, olio e sale. Lasciare riposare un’oretta in frigo, stendere l’impasto sul piano di lavoro con il mattarello assottigliarlo fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di 2 mm.

Arrotolare la pasta e tagliare con il coltello ricavandone delle fettuccine.

Buttare in acqua salata bollente e lasciare cuocere per circa 4 minuti.
Nel frattempo, in un tegame far scaldare il burro di malga e dei petali di tartufo nero di Montemale.

Scolare la pasta e farla saltare nel burro fuso aromatizzato, aggiungendo un po’ di acqua di cottura e completare con abbondante tartufo nero affettato.

Dove gustare la ricetta di Eugenio Manzone

Eugenio Manzone

Eugenio Manzone

Eugenio Manzone detto Poldo, comincia la sua avventura gastronomica frequentando l’Istituto Professionale Alberghiero di Mondovì.
Ottenuto il diploma, si sposta in Italia (Emilia Romagna e Valle d’Aosta) e all’estero (Svizzera e Germania) per completare la sua esperienza.

Nel 1985 apre un ristorante a Gallo Grinzane, poi nel 1990 si trasferisce a Caraglio e incomincia a lavorare presso il Portichetto.
Nel 2008 ne diviene contitolare insieme a Ivo Giordano che si occupa del servizio in sala.

Da oltre dieci anni Poldo e Ivo perseguono l’obiettivo di promuovere, attraverso i piatti tradizionali di alto standard qualitativo, la cultura e le tradizioni culinarie delle vallate, custodi di profumi e sapori indimenticabili.

Il commento

Stagionalità e chilometri zero per un piatto di forte emozione. Gli immancabili tajarin della cucina cuneese, nella versione di castagne, “l’albero del pane” nella saggezza popolare, sono valorizzati dal tartufo nero di Montemale. La semplicità di esecuzio¬ne punta all’eccellenza degli ingredienti, il dono della terra e del bosco. La farina di castagne, di un bel colore nocciola chiaro, delicata nel sapore e di buon valore nutrizionale, viene lavorata come un qualsiasi cereale in abbinamento a quella di barbarià, una miscela di grano tenero e segale. L’arte è ridurla sottile con il matterello, una sfoglia da arrotolare su sé stessa e tagliare a colpi di coltello, rigorosamente a mano, quasi senza alzarlo dalla spianatoia. Una lama che sembra solo sfiorarla tanto è rapida e precisa. Lo dice anche il nome: tajarin, dal verbo tagliare in piemontese. Il tartufo nero di Montemale, affettato a lamelle e scaldato nel burro perché si esalti in leggera cottura, ne è il giusto coronamento. Tondeggiante, polpa nera con venature bianche traslucide, ha profumo intenso e aromatico. Tuber melanosporum, il nome scientifico. In Valle Grana è di casa da sempre sui terrazzamenti esposti a sud, il suo habitat ideale. Una versatilità incredibile: se la stagione della trifola d’Alba, bianca, è l’autunno, il nero non si raccoglie mai prima di dicembre, al meglio tra inizio anno e marzo. Uno spazio nuovo, un’occasione per una stagione bis del tartufo.

Vino in abbinamento

Nebbiolo di Dronero (detto anche Chatus)